Personalità depressiva

Laura Pedrazin, Laurea in Psicologia Clinica, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano,
Ordine degli Psicologi della Lombardia n°25499

Caso clinico: “Matteo e il peso del proprio valore”.

Il caso
Matteo ha 40 anni e lavora in ambito editoriale. Si presenta in terapia riferendo una “stanchezza che non si spiega”, una sensazione di vuoto che emerge soprattutto nei momenti in cui le cose sembrano andare bene. Dopo una promozione, anziché sentirsi soddisfatto, ha iniziato a isolarsi, perdere interesse per il lavoro e a sentirsi in colpa per non essere felice. Non ha sintomi depressivi in senso classico, ma descrive una costante sensazione di non essere “abbastanza” e un forte disagio nel ricevere attenzioni o riconoscimenti. “Sento di non meritare quello che ho, e quando lo ottengo, mi sento sporco, come se stessi barando.”

Nel corso delle sedute emerge un tema ricorrente: la difficoltà a tollerare il proprio valore e a riconoscersi desiderabile, capace, competente. Le relazioni sono spesso segnate da un tono dimesso e da una forte idealizzazione dell’altro. Spesso Matteo si ritrae quando percepisce l’invidia o l’ammirazione altrui, e tende a investire in amicizie dove possa restare in posizione di “inferiorità” o di “aiutante silenzioso”.

Il disturbo
Anche in Matteo si riscontra una configurazione depressiva di personalità, con caratteristiche meno esplicite ma altrettanto pervasive. Il suo funzionamento è dominato da un’identificazione precoce con figure bisognose o svalutanti, che lo ha portato, nel tempo, a sviluppare una forma di sé fondata sull’umiltà, il trattenimento del desiderio e la rinuncia al successo personale. Il riconoscimento di sé come soggetto attivo, desiderante, o anche solo visibile, riattiva sensi di colpa inconsci, spesso legati al timore di “far soffrire” gli altri o di “mettersi al di sopra”.

psicologo depressione

Il trattamento
Il lavoro terapeutico ha richiesto un’attenzione particolare alla dinamica della modestia difensiva: non si trattava solo di una qualità caratteriale, ma di una struttura interna costruita per proteggersi da angosce più profonde legate alla colpa e al desiderio. Fin dalle prime fasi, il terapeuta ha evitato di rinforzare involontariamente il bisogno di compiacere di Matteo, mantenendo un assetto sufficientemente neutro ma empaticamente stabile.

È stato importante, nel corso del tempo, aiutare Matteo a riconoscere e tollerare gli aspetti di sé che aveva tenuto in ombra: la rabbia per le ingiustizie subite, l’invidia repressa nei confronti di figure più libere o affermate, il desiderio di essere visto e apprezzato non solo per quello che fa, ma per quello che è.

Gli interventi tecnici sono stati orientati ad aprire spazi di riflessione su questi vissuti senza giudizio, lasciando che potessero emergere con gradualità. In particolare, è stato utile esplorare come la tristezza e il senso di vuoto comparissero spesso nei momenti di successo, suggerendo un legame inconscio tra il sentirsi bene e il timore di perdere l’amore o l’approvazione dell’altro. La cornice analitica ha fornito un contenimento importante per esplorare queste ambivalenze, e ha permesso a Matteo di iniziare a considerare che non sempre è necessario scegliere tra essere felici e sentirsi buoni.

Se stai vivendo, o conosci qualcuno che vive, un momento di depressione, parlare con un professionista della salute mentale può essere un passo importante per comprendere la situazione e intraprendere un percorso di sostegno personalizzato.

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